"Talmente bello da essere difficile recensirlo."
Perdonate il pomposo occhiello a questa recensione, in effetti è più un modo mio per mettere le mani avanti che un vero commento sul disco, ma sono sincero quando affermo che "Je déchire l'ongle aux criminels", nella sua varietà, nel suo equlibrio, nel suo essere ben fatto e ben suonato, è davvero tanto complesso da risultare difficile da commentare.
Si possono fare i soliti paragoni, dicendo che Francesco Giannico ha certamente assimilato la lezione di etichette di genere come 12K (Minamo e Dupree, per esempio), ma va anche detto che possiede una vena melodica che affonda negli studi classici.
Si sa, a volte tutto questo non basta e ciò che ne esce sono molti spunti interessanti ma mal assemblati, mentre qui è l'amalgama finale che è al limite della perfezione: arpeggi di chitarra, field recordings, microsuoni, tutto è ben calibrato. Perfino la durata dei brani, che varia dai tre ai sei minuti, sa di giusto equilibrio, tanto da far pensare che scorre anche una vena pop nei solchi del disco, quando si ascoltano i passaggi di "Le besoin de la réflexion".
A tratti è invece un sentimento più disturbante a prendere il sopravvento, come nell'intro della tetra "Malaises douces", con però il suo finale malinconico sulle note di una chitarra filtrata e multi-stratificata.
Il disco conserva ad ogni modo, dall'inizio alla fine, un umore malinconico, ed è frutto di una co-produzione tra due tra le più interessanti etichette italiane dell'under-underground, Afe e Bar La Muerte, i cui titolari partecipano anche musicalmente con un contributo chitarristico nella prima traccia.
[Matteo Uggeri] |